L’emergenza coronavirus ha indotto il Governo ad assumere una serie di misure normative volte a contenere la diffusione dell’epidemia. Tali misure incidono su diversi diritti costituzionali: quantomeno la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.), la libertà religiosa (art. 19 Cost.), il diritto/dovere all’istruzione (art. 34 Cost.) la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.). L’ulteriormente inasprimento delle misure, sino al divieto di uscire di casa, potrebbe comportare limitazioni addirittura alla libertà personale (art. 13 Cost.).

  • La Costituzione disciplina lo stato di emergenza?

La Costituzione non prevede una disciplina generale delle situazioni di emergenza. È però prevista la possibilità di limitare alcuni diritti costituzionali per ragioni di sanità o di incolumità pubblica. Le limitazioni devono: (a) essere decise con legge (c.d. riserva di legge) e (b) riguardare categorie generali di cittadini (per es. i contagiati dal virus o, più ampiamente, tutta la popolazione).

Più in generale, occorre considerare che la dottrina e la giurisprudenza riconoscono un particolare valore al diritto alla salute (l’unico che la Costituzione definisce espressamente fondamentale: art. 32 Cost.) e al connesso diritto alla vita. Mentre tutti gli altri diritti sono reciprocamente bilanciabili, il diritto alla vita è l’unico diritto qualificato come assoluto: dunque, destinato a prevalere sempre sugli altri. La ragione è semplice: la vita è precondizione per il godimento di tutti i diritti, senza la vita non si può godere di nessun diritto. Inoltre, per la Costituzione la salute non è solo un diritto individuale, ma anche un interesse della collettività.

  • Perché è importante che le limitazioni siano decise con legge?

Perché la legge è atto approvato dal Parlamento, l’organo che rappresenta tutti: maggioranza e opposizione. Sia pure indirettamente, la deliberazione parlamentare è garanzia del fatto che tutti siano coinvolti nella decisione che limita la libertà di tutti (sono considerati equiparati gli atti aventi forza di legge adottati dal governo: il decreto-legge, che deve poi essere convertito in legge dal Parlamento, pena la sua decadenza fin dall’inizio; il decreto legislativo, che, per poter essere adottato, deve prima essere previsto da una legge delega del Parlamento).

Questo non significa che la legge debba entrare nel dettaglio delle misure da adottare (il Parlamento non avrebbe le competenze necessarie e, anche se le avesse, la procedura di approvazione della legge sarebbe troppo lunga) o che si debba approvare un’apposita legge per ciascuna emergenza. Il Parlamento può limitarsi ad adottare una legge che, in linea generale, stabilisce come comportarsi in situazioni di emergenza e, se decide di adottare una legge apposita per una determinata situazione, stabilire il quadro normativo generale demandando a successivi provvedimenti amministrativi (ordinanze o regolamenti) gli interventi di dettaglio.

  • Esistono leggi generali per le situazioni di emergenza approvate prima dell’epidemia di Coronavirus?

Sì, esistono. Per quanto interessa, si può fare riferimento a due atti legislativi:

– il decreto legislativo n. 1/2018 (Codice della protezione civile), in base al quale (artt. 24 e 25), al verificarsi di un’emergenza nazionale, il Consiglio dei ministri delibera lo stato di emergenza e autorizza il Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa delle Regioni interessate, ad adottare ordinanze in deroga a ogni disposizione vigente, purché (a) sia dichiarato quali sono le disposizioni di legge che s’intende derogare, (b) siano rispettati i principi generali dell’ordinamento e il diritto europeo;

– la legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn), in base alla quale (art. 32): (a) se l’esigenza è nazionale o pluriregionale, il Ministro della Sanità ha il potere di emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica; (b) se l’esigenza è regionale o locale, il potere di ordinanza spetta al Presidente di Regione o al Sindaco (ipotesi prevista, altresì, dall’art. 50 del decreto legislativo n. 267/2000).

  • Come sono state assunte le misure limitative dei diritti di fronte all’emergenza Coronavirus?

Si possono distinguere diverse fasi:

A) In un primo momento, nel quadro del decreto legislativo n. 1/2018, il Consiglio dei ministri, sulla scia di analoga dichiarazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ha deliberato lo stato di emergenza sanitaria (delibera del 31 gennaio 2020) per una durata di sei mesi (dunque, sino al 31 luglio 2020). Sulla base di tale dichiarazione il Capo dipartimento della Protezione civile ha potuto adottare una serie di ordinanze per intervenire su profili organizzativi della gestione dell’emergenza (istituzione del Comitato tecnico-scientifico che supporta il governo nelle sue decisioni, acquisto dei materiali necessari, divieto di esportazione dei materiali necessari

B) Successivamente, le prime misure concrete rivolte alla cittadinanza (per vietare entrata e uscita nei primi comuni-focolaio, per sospendere le attività e chiudere le scuole, per le misure di quarantena) sono state adottate, nel quadro della legge n. 833/1978, con ordinanze del Ministro della Salute (21.2.2020 e 23.2.2020). Un ulteriore atto di questo tipo è stato adottato il 20.3.2020.

C1) Di seguito, il governo ha deciso di adottare il decreto-legge n. 6/2020 (poi convertito, con modifiche, nella legge n. 13/2020) quale atto avente forza di legge con cui far fronte appositamente all’epidemia di Coronavirus. Tale decreto-legge prevede che, su iniziativa del Ministro della Salute, il Presidente del Consiglio dei ministri adotti tramite proprio decreto (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri: dpcm) «ogni misura di contenimento e di gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica» (è altresì richiesto il parere, non vincolante, degli altri Ministri interessati e dei Presidenti delle Regioni interessate o, se lo sono tutte, del Presidente della Conferenza delle Regioni). Il Presidente del Consiglio ha, quindi, fatto ampio uso di dpcm per introdurre misure via via sempre più restrittive (dpcm 23.2.2020, 25.2.2020, 1.3.2020, 4.3.2020, 8.3.2020, 9.3.2020, 11.3.2020, 22.3.2020).

C2) Nel contempo, alcune regioni hanno adottato, nel quadro della legge n. 833/1978, proprie ordinanze con cui hanno inasprito, talvolta anche anticipandole, le misure governative (Lombardia e Piemonte: in queste regioni è sorto un conflitto tra le più rigide misure regionali e le più blande misure statali) o hanno chiuso il proprio territorio agli spostamenti di popolazione da e verso l’esterno (in contraddizione con l’art. 120 Cost.).

D) Da ultimo, il governo si è riproposto di dare ordine a questo caotico sovrapporsi di misure adottando il decreto-legge n. 19/2020. Tale atto normativo abroga quasi completamente il precedente decreto-legge, al fine di rendere il novero degli strumenti giuridici a disposizione del governo meglio riconducibile al dettato costituzionale (cfr. paragrafo 9).

Insomma: inizialmente sono stati utilizzate entrambe le leggi previste, in generale, per le emergenze (d.lgs. n. 1/2018 e legge n. 833/1978); poi è stato adottato un apposito provvedimento legislativo (il decreto-legge n. 6/2020, convertito nella legge n. 13/2020) che ha però sollevato numerose perplessità circa la sua costituzionalità;

Stiamo ai testi. Abbiamo due decreti-legge, il primo convertito in legge e il secondo, a quanto mi risulta, non ancora esaminato dal Parlamento, ma in vigore. E poi 11 decreti del presidente del Consiglio, gli ormai celeberrimi dpcm. I decreti legge sono equivalenti alle leggi, che servono, secondo Costituzione, a fronteggiare i “casi straordinari di necessità e urgenza”. Credo che nessuno dubiti che si sia in uno di questi casi. Il decreto legge numero 6 di febbraio stabilisce che le autorità competenti sono “tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Successivamente indica le materie in cui tali misure possono intervenire: circolazione, trasporti, scuola, manifestazioni pubbliche, ecc. In breve: le misure attuative (i dpcm) sono autorizzate dalla legge e il governo ha fatto uso dell’autorizzazione in quanto “autorità competente”.

Il governo non ha usurpato poteri che non gli fossero stati concessi dal Parlamento. Undici decreti sono tanti, ma l’autorizzazione data al governo prevede precisamente che l’attuazione sia, per così dire, mobile, seguendo ragionevolmente l’andamento dell’epidemia.

professoressa Anna Perri, docente di Diritto ed Economia Politica

al Liceo delle Scienze Umane (LES) “M. T. “De Vincenti